mercoledì 15 giugno 2016

I DISTURBI DI APPRENDIMENTO SONO DAVVERO “SPECIFICI”?

Si sono spenti i riflettori sul convegno del 9 aprile 2016 scorso sui disturbi specifici di apprendimento con soddisfazione per il successo di pubblico e per i numerosi riconoscimenti di valore manifestati in modo aperto e autentico dalla stragrande maggioranza dei partecipanti. Nel clima di fervore post convegno e proprio in virtù delle differenti posizioni emerse ai margini e dopo, siamo ancora a chiederci – come nel gioco dell’oca - Perché un convegno sui DSA?
Le ragioni erano e restano molte. la rivolta politico sociale nei confronti di una legislazione inadeguata a tutelare i bambini, Il desiderio di conoscenza scientifica e con esso l’apertura verso le neuroscienze che, a partire da un punto di osservazione e da un oggetto osservato diverso da quello psicoanalitico, stanno portando un grande contributo alla conoscenza del mondo dell’infanzia; una preminenza di mercato della riabilitazione neuro cognitiva o della logopedia spacciati come gli unici rimedi per i bambini con disturbi di apprendimento.
Ma la madre di tutte le domande era e resta: esistono i “disturbi specifici di apprendimento? O meglio: posto che i disturbi di apprendimento esistono, esiste il costrutto DSA così come formulato dall’ICD-10 e adottato dalla Consensus Conference e dagli atti ministeriali?
Quando questo convegno è stato concepito, la risposta a questa domanda probabilmente non era chiara per nessuno di noi. O meglio: esisteva un fondato sospetto della inutilità di tale costrutto, ma di fronte a un Parlamento Italiano che ha ritenuto addirittura di dover legiferare in proposito e di fronte a monumenti quali l’ICD-10, il DSM 5 o i documenti ministeriali che hanno preceduto e seguito la Legge n. 170 del 2010 il nostro sospetto di inutilità poteva sembrare quasi incredibile e temeraria ogni critica.
Nel 2016 il dilemma si è rivelato non poi così peregrino visto che in pochi mesi stanno fiorendo convegni nei territori del Centro Nord promossi da parti del Movimento Psicoanalitico:

  • 5 marzo all’AIPPI di Roma;
  • 12 marzo al Niguarda di Milano;
  • 12 Marzo nella sede del Centro Bolognese di Psicoanalisi;
  • 9 aprile il nostro Convegno di Loreto;
  • Settembre prossimo di nuovo all’AIPPI di Roma;
  • Novembre prossimo presso il Centro D’Intino a Pavia ecc….;
Solo per citare le iniziative attualmente conosciute. E’ la riprova che la questione ha una sua ragion d’essere, urgente e pressante.
Che esista la dislessia, la disortografia, la discalculia e la disgrafia non è in discussione. Ma ciò che qualifica il costrutto del DSA è la “S”, cioè la “specificità” del disturbo su base neurobiologica in virtù della quale si presupporrebbe che esista un bambino felice ed equilibrato che, ohibò, per una fallace maturazione del sistema nervoso, non automatizza i meccanismi di funzionamento di quelle parti del cervello che sovraintendono alla lettura, scrittura, calcolo ecc.
La “specificità” del disturbo è la chiave di tutta la questione posta. E per questo motivo la figura del neuro scienziato al nostro Convegno era indispensabile: per chiarirci in virtù di quali ricerche, di quali fatti osservati e di quali interpretazioni si sostiene la specificità neurobiologica dei disturbi. Perché adottando un punto di osservazione clinico… questa base neurobiologica non la si vede. E questo, della “specificità”, è aspetto dirimente per la sostenibilità del costrutto di DSA. Senza la specificità neurobiologica non c’è DSA. Ma DAA (disturbo aspecifico di apprendimento). Nel corso degli ultimi decenni è stata prodotta una grande quantità di ricerche neuro scientifiche che hanno individuato delle correlazioni tra ad esempio l’esistenza di una dislessia ed una particolare reattività di specifiche aree del cervello. Ma come valutare tali correlazioni? In virtù di esse autori i più disparati hanno coniato molte teorie sull’origine neurobiologica della dislessia…teorie appunto, cioè interpretazioni non incontrovertibili.
Nel campo dell’autismo le neuroscienze pare abbiano trovato fattori circostanziati che da più parti sono ormai riconosciuti come fattori di vulnerabilità corporea di base o neurobiologica. E’ probabile che possano esistere anche per i disturbi di apprendimento alcuni fattori di vulnerabilità corporea di base che rendono questi bambini svantaggiati fin dall’inizio della vita. Ma sappiamo anche che le cellule corporee entrano in contatto con l’ambiente fin dallo stato di gravidanza della madre e che questo ambiente è in grado di condizionare la selezione dei geni (attivi o silenti) e i meccanismi di riproduzione delle stesse cellule nervose. L’intreccio tra natura e cultura, tra base biologica e ambiente in cui il soggetto è immerso costituiscono un unicum inestricabile fin dagli albori della vita. Ragion per cui noi diciamo che il soggetto è una unità somatopsichica e che non è possibile conoscerlo separando il corpo dalla psiche.
I fautori del costrutto del DSA invece fanno proprio questo: considerano il corpo come una macchina di cui indagare i processi di funzionamento evitando di occuparsi delle emozioni del soggetto e delle sue interazioni con l’ambiente. Sostanzialmente tali fautori, non occupandosene, sembrano denegare l’esistenza e l’importanza del mondo emotivo-relazionale. Il costrutto del DSA si basa su tale diniego: nella definizione della classe ICD-10  F81 il manuale statistico diagnostico recita: “Le condizioni incluse in questa sezione hanno in comune: a) un’insorgenza che invariabilmente si colloca nella prima o seconda infanzia; b) una compromissione o un ritardo nello sviluppo di funzioni che sono strettamente connesse con la maturazione biologica del sistema nervoso centrale; c) un decorso continuo, senza remissioni e recidive.” . Nella Consensus Conference si allude anche a test per misurare l’intelligenza che non deve risultare deficitaria. L’intelligenza cui si allude è quella testata con la WISC e similari, test utile ma altamente riduttivo rispetto alla complessità della persona. Si precisa inoltre che la diagnosi di DSA può essere stilata solo dopo i sette anni di età del bambino: nella batteria di test consigliata anche a livello ministeriale il bambino sottoposto a valutazione funzionale deve risultare al di sotto della seconda deviazione standard in gran parte delle prove previste, ma alla WISC deve mostrare un QI nella media. I test sondano le capacità di lettura e di comprensione del testo, le capacità ortografiche e di calcolo senza minimamente tenere in conto la storia affettiva e relazionale del bambino. Né i protocolli diagnostici in voga sono vincolanti in tal senso. I criteri adottati e conseguentemente gli strumenti si limitano a sondare il funzionamento di alcune abilità considerandole slegate dalla persona nel suo insieme. Che cosa ci può rappresentare dunque una diagnosi di questo tipo, a noi che siamo abituati a considerare ogni bambino in tutta la sua complessità? Nelle teorie e nei percorsi di formazione delle scuole a orientamento sistemico-relazionale si usa utilizzare lo strumento della mappa per rappresentare, semplificandole graficamente, le relazioni tra individui e nel gruppo, in analogia con le mappe geografiche che sono una semplificazione in scala della realtà. Ma nella fattispecie del costrutto di DSA non ci troviamo di fronte neanche a delle mappe della complessità, quanto piuttosto ad una descrizione riduttiva del bambino per via di dissociazione e diniego, in cui una parte della realtà del bambino non è semplificata ma più radicalmente mozzata e ignorata.
E poi, che cosa ci può – a quell’età - mai dire una diagnosi siffatta a sette anni del bambino, sulle cause di un disturbo di apprendimento, quando nella vita del bambino è già successo di tutto, quando il bambino ha già vissuto fatti relazionali decisivi per la sua formazione e il suo sviluppo futuro, fatti che con quel metodo e protocollo diagnostico non vengono minimamente considerati?
Si ha l’impressione che alcuni attuali sostenitori in Italia dell’esistenza dei DSA ci presentino delle semplici correlazioni tra il disturbo di apprendimento e il comportamento di alcune aree del cervello come la causa (causalità lineare) del disturbo. A noi pare che le correlazioni dei neuro scienziati, al di fuori del danno cerebrale accertato, hanno lo stesso peso delle correlazioni trovate dagli psicoanalisti nel corso del loro lavoro di ricerca. I neuro scienziati osservano correlazioni tra il disturbo e alcuni assetti cellulari; lo psicoanalista individua le correlazioni tra il disturbo ed alcuni aspetti ambientali. Nessuno dei due può sostenere che la correlazione trovata corrisponda alla causa (lineare) del disturbo. Si può dire solo che sono state individuate delle correlazioni tra fattori e sintomo, ma non la causa.
A tale proposito è interessante un testo di alcune lezioni tenute all’Università di Roma da Cesare Cornoldi (Cfr. “Pegaso-Università telematica; lezione: varietà dei disturbi specifici di apprendimento”) e pubblicate nella rete, di cui riportiamo qui di seguito alcuni brani. Cesare Cornoldi è uno psicologo cognitivista che tra i primi in Italia ha studiato i disturbi di apprendimento e messo a punto con la sua équipe alcuni test specifici per sondare le abilità linguistiche dei bambini, test “MT” che rientrano nell’elenco consigliato dalla Consensus e dal Ministero per la diagnosi di DSA nei servizi pubblici e privati convenzionati:
“L’approccio ‘neurocostruttivista’ allo sviluppo normale e patologico (per una rassegna si vedano Karmiloff-Smith, 1998; Ansari e Karmiloff-Smith, 2002; Scerif e Karmiloff-Smith, 2005) riconosce pienamente il ruolo dei vincoli biologici innati (fattori genetici), ma – diversamente dagli innatisti – considera questi vincoli meno forti e meno dominio-specifici, distanti e distinti dalle funzioni neuro cognitive di ordine superiore. Considerando il protratto periodo di sviluppo post-natale necessario alla formazione delle funzioni dominio-specifiche della neocorteccia, si ritiene che è il processo di sviluppo stesso a giocare un ruolo cruciale nel determinare il risultato finale. In questa prospettiva, la modalità di elaborazione degli stimoli ambientali da parte del bambino viene costantemente influenzata dal suo livello di sviluppo e la rappresentazione dominio-specifica (i.e., il modulo) è solo il risultato finale dell’intero sviluppo (…) la questione della compresenza di più disturbi (la cosiddetta comorbilità), molto rilevante nella pratica clinica viene liquidata da alcuni approcci biologici, come semplice disturbo associato, ma non causalmente legato al DSA. La logica sottostante è quella di una rigida applicazione di un modello in cui un’unica causa sarebbe alla base di uno specifico DSA (…) Molti dibattiti e controversie circa le basi neuropsicologiche dei DSA nascono proprio da una scorretta applicazione della logica neuropsicologica cognitiva mutuata dall’adulto, in cui i modelli deterministici di tipo uni-causale possono realmente spiegare il deficit di una funzione specifica (e.g., sintesi fonologica) corrispondente al modulo danneggiato (e.g., memoria fonologica) oppure al circuito neurale alterato o disconnesso. Invece, durante lo sviluppo, una funzione neuropsicologica difficilmente può essere ridotta ad un insieme di moduli che compongono un circuito precostituito. In concordanza con queste osservazioni, gli emergenti modelli causali hanno riconosciuto la natura probabilistica e multifattoriale delle disfunzioni neuropsicologiche sottostanti ai DSA (e.g., Pennington, 2006). Riassumendo, l’approccio neuro costruttivista interpreta il DSA come il risultato distale e indiretto di disfunzioni di processi di elaborazione precoci (e.g., l’atipico sviluppo delle abilità visive e uditive di base per la dislessia e delle abilità numeriche di base per la discalculia) piuttosto che come il risultato di uno specifico modulo cognitivo danneggiato (e.g., danno del modulo ‘fonologico’ per la dislessia e del modulo ‘numerico’ per la discalculia). Diversamente dagli empiristi, i neurocostruttivisti riconoscono il ruolo di specifici fattori innati (e.g., fattori genetici), ma, diversamente dai classici approcci neuropsicologici, assumono che questi abbiano inizialmente un effetto ampio e diffuso (dominio-rilevanti), diventando dominio-specifici con i processi di sviluppo e con le specifiche interazioni ambientali. In questa prospettiva, i moduli sono considerati il risultato finale di processi evolutivi di ‘modularizzazione’. Una importante conclusione a cui conduce l’approccio neuro costruttivista applicato alla neuropsicologia evolutiva è che i DSA non sono così specifici, come lo sono invece alcuni disturbi acquisiti. Quest’ultima conclusione trova una fortissima conferma nella realtà della pratica clinica in cui, ad esempio, un bambino dislessico è molto probabilmente anche disortografico, disgrafico, discalculico, e spesso manifesta sintomi di disturbo da deficit dell’attenzione, o della coordinazione motoria.”
Tutto ciò premesso a noi sembra che il costrutto “DSA” è privo di fondamento poiché si basa sulla specificità neurobiologica dei disturbi che …non esiste visto che le cause appaiono sempre più come multifattoriali.
Se il DSA non esiste, l’idea di raccontare al Convegno una psicoterapia di un bambino con DSA era compito impossibile. E infatti i casi presentati al convegno avevano disturbi di apprendimento e di linguaggio aspecifici (DAA), cioè con eziologia multifattoriale. La bellezza dei casi presentati risiede proprio nel fatto che i bambini trattati con psicoterapia psicoanalitica hanno ripreso il loro sviluppo in modo armonico e sono vistosamente migliorati sia per gli aspetti relazionali che per quelli curriculari scolastici rilevabili attraverso le insegnanti, ivi compresi la lettura, la scrittura e il calcolo. In definitiva, l’aspettativa di ascoltare il racconto di trattamenti di bambini con diagnosi di DSA si fondava sul principio della veridicità di tale diagnosi che a nostro avviso vera non è e non poteva esserlo per i motivi precedentemente espressi.
Le questioni da noi sollevate hanno acquistato, negli ultimi sei anni, a livello sociale e politico, una rilevanza di primo piano: per il numero di bambini coinvolti ha ormai uno spessore maggiore, rispetto alla questione recentemente assurta alla ribalta nazionale, del cosiddetto spettro autistico. Come per l’autismo abbiamo assistito a prese di posizione di associazioni private e di società scientifiche che hanno conquistato l’attenzione e la fiducia del Parlamento Italiano in virtù di una scientificità delle loro tesi che si stanno rivelando scientifiche tanto quanto altre che non sono state prese in considerazione dagli organismi istituzionali dello Stato. Come per l’autismo sarebbe auspicabile che la SPI e le società scientifiche a indirizzo psicodinamico prendessero posizione stigmatizzando questi orientamenti pseudoscientifici che non fanno bene ai bambini. I dettami della Consensus Conference, i protocolli diagnostici scaturiti da quei documenti e fatti propri dalle Regioni con tanto di quantificazione dei tickets corrispondenti per le valutazione funzionali dei bambini, sono diventati un meccanismo seriale stritolante da cui i professionisti dei servizi pubblici non riescono – se non a rischio di infrangere la legge – a sottrarsi. Questo esito, di cui certo cognitivismo neuropsicologico porta la responsabilità maggiore, deve essere contrastato nell’interesse generale della salute pubblica.

GRUPPO DI STUDIO ALFA ANCONA
 Loreto, 23/05/2016

lunedì 2 maggio 2016

Il report del Convegno del 9 aprile.

APPRENDIMENTO TRA NATURA E AMBIENTE. Riflessione sui DSA.

Lo scorso 9 aprile si è tenuto nelle Marche, a Loreto, il Convegno Nazionale dal titolo: “Apprendimento tra natura ed ambiente. Riflessioni sui DSA”.
Il Convegno ha visto la luce in un periodo in cui il più vasto movimento psicoanalitico sembra mostrare interesse per una tematica rimasta in questi anni, nel Movimento, molto in ombra: i disturbi di apprendimento nell’infanzia. N. 125 i partecipanti presso il Teatro Comunale: il 50% insegnanti e personale del mondo della scuola in genere; l’altro 50% composto da psicoterapeute, psicoanaliste e da professionisti della “sanità”.

Chairman della mattinata la Dott.ssa Carla Busato Barbaglio che ha aperto i lavori a nome del Centro di Psicoanalisi Romano di cui è Presidente.
La Dott.ssa partendo dal riconoscimento di un impasto tra mente e corpo si è interrogata sulla specificità della crescita umana. Le nostre esistenze, i nostri cervelli, il nostro soma sono sistemi complessi in continua interazione tra loro che si riorganizzano per tutta la vita. Una grande quantità di ricerche e di studi degli ultimi 20 anni nel campo evolutivo e neurobiologico postula che il cervello umano sia biologicamente progettato per essere strutturato dalle esperienze sociali: cognizioni ed affetti sono un impasto unico. Alcuni studi recenti mostrano come le stesse strutture cerebrali che presiedono alla organizzazione della esecuzione motoria abbiano un ruolo nella comprensione semantica del linguaggio. Pare che molti disturbi attuali dell’apprendimento siano legati all’introduzione (negli USA dal 1930, in Italia dal 1970) del metodo globale: problemi di lettura che alcuni hanno denominato “dislessia educativa”. Un insegnante segnalava: negli ultimi anni dapprima è comparso il “disturbo dell’attenzione”, poi il “disturbo dell’iperattività”, poi il “disturbo oppositivo provocatorio”, poi il “disturbo della condotta”, poi “la dislessia”, poi “la disgrafia”, poi “la discalculia”… ma verrà introdotta anche la “distrigonometria” o la “discalculia infinitesimale”? E’ utile porsi interrogativi sulle ondate diagnostiche legate a problemi inediti e a non saper aspettare i tempi diversi dei bambini preferendo etichettarli prematuramente. Ha poi confidato che il Convegno possa essere proficuo nel rispondere almeno ad alcune delle numerose domande che è lecito porsi quando ci si addentra nei meandri dei disturbi di apprendimento.
Il ripristino di funzioni deficitarie dovrebbe comunque prevedere, come suggerisce Shore, programmi psico-educativi dove oltre all’aspetto cognitivo ci si prenda cura anche dell’aspetto relazionale.

Il Dott. Ferdinando Benedetti ha presentato il racconto di due situazioni di ragazzi (già precedentemente valutati da altri servizi privati e pubblici) entrati in valutazione presso una Unità Multidisciplinare per l’Età Evolutiva, per il rinnovo della diagnosi di DSA in vista dell’esame di terza media: il risultato sorprendente è stato, a 13 anni, “il ritardo mentale” (la diagnosi di DSA prevede l’assenza del ritardo mentale). La tesi sostenuta dal dott. Benedetti non si è limitata ad evidenziare gli effetti iatrogeni di un eccesso di diagnosi di DSA oggi in Italia, ma ha sottoposto a critica lo stesso costrutto del Disturbo Specifico di Apprendimento. Nel manuale ICD-10 infatti il costrutto è riferito esclusivamente a cause di carattere neurobiologico. Il che entra in contraddizione con quanto le stesse neuroscienze e non solo la psicoanalisi hanno messo in luce negli ultimi anni: l’intreccio inestricabile di fattori biologici e fattori emotivo relazionali nello sviluppo degli individui a partire dai primi mesi di gravidanza. In virtù di tale intreccio diventa pertanto impossibile stabilire l’esistenza di una causa neurobiologica del disturbo di apprendimento. Ne discende, per coerenza logica, che i disturbi di apprendimento sono tutti aspecifici in quanto indissolubilmente legati alla storia biologico-emotivo-relazionale del soggetto.

Il prof. Giuseppe Cossu, neurobiologo, ha parlato dell’origine multifattoriale dei disturbi di apprendimento e delle scoperte dell’epigenetica: le cellule neuronali appaiono oggi particolarmente plastiche e trasformabili durante tutto il corso della vita.
Ha illustrato il metodo della ricerca neuropsicologica rivolta a studiare la lettura e la scrittura come meccanismi neuro funzionali. La ricerca deve primariamente circoscrivere un oggetto di indagine. Mentre nella clinica l’oggetto di indagine è l’intera persona, nella ricerca neuropsicologica l’oggetto di indagine è costituito dalla struttura cerebrale che sovraintende alla lettura e alla scrittura nonché dai processi di funzionamento di questa struttura. Nella lettura e scrittura il meccanismo è combinatorio di sillabe e non ha nulla a che fare con i significati. E’ un sistema di convenzioni arbitrarie cui noi attribuiamo significati attraverso altre parti del cervello. Il punto di osservazione da cui guardiamo il nostro oggetto di indagine è decisivo per i risultati della ricerca. Che cosa acquisisce un bambino quando impara a leggere e scrivere? Quali risorse neuro funzionali vengono messe in campo? La ricerca tenta di definire un modello della struttura del sistema che sovraintende alla lettura e scrittura. La struttura di un sistema linguistico è data dalle unità fisiologiche di base, le sillabe. Componendo le sillabe è possibile comporre un numero infinito di parole. Il bambino deve arrivare all’intuizione della componibilità delle sillabe. Meno del 2% della popolazione infantile è DSA, ma i bambini con difficoltà di lettura e scrittura sono almeno il 12%. Il Prof. Cossu ha riconosciuto che i sistemi diagnostici vigenti non favoriscono l’aiuto dei bambini. La ricerca neuropsicologica consente, già ora, in caso di disabilità, di trovare “il pezzo rotto della macchina”. Di qui la messa a punto delle prassi riabilitative o abilitative. Il Prof. Cossu ha poi raccontato i progressi che si sono fatti nella conoscenza dei processi che governano la lettura e la scrittura. I sistemi di lettura sono sistemi parassiti rispetto alla lingua. Se la lingua funziona male il sistema ortografico ne risente. Tutti i sistemi ortografici sono sistemi di rappresentazioni di unità sub lessicali e e quindi non rappresentano il significato. La ricerca ha dimostrato come il circuito per l’apprendimento dell’ortografia sia sempre il medesimo nelle varie parti del mondo e tra le varie culture, ma nel caso della lingua inglese si attiva maggiormente la componente visiva.
Posto che la mente funziona a pezzi il prof. Cossu ha spiegato che vi è una modularità nell’apprendimento delle diverse funzioni che favoriscono/impediscono l’apprendimento e questo risente di una multifattorialità (componente biologica e componente psicologica). Lo studio della multifattorialità rende evidente il coinvolgimento di un numero talmente grande di variabili che resta difficile isolare le cause dagli effetti.
Certamente, sostiene il prof. Cossu, è necessaria una quanto più attenta analisi della struttura del sintomo (cosa sbaglia, come sbaglia e la soluzione che il bambino trova) perché individuare questo permette anche di proporre sotto il profilo neurocognitivo dei correttivi.

Il Dr. Marco Mastella ha apprezzato l’utilità della ricerca neuropsicologica tesa ad evidenziare i processi di funzionamento normale della mente e i fenomeni sottesi alle disabilità. Ha riscontrato tuttavia i limiti delle scelte operative della Sanità Pubblica (in particolare i sistemi diagnostici introdotti nelle istituzioni pubbliche e private a seguito della Legge 170/2010 e della Consensus Conference) che fonda attualmente le proprie prassi esclusivamente su modelli cognitivo comportamentali che marginalizzano nei metodi di indagine gli affetti e le relazioni familiari. Ha poi fornito una rassegna dei principali contributi scientifici sui DSA: una parte di tali contributi sostiene l’esistenza di una peculiare vulnerabilità neurobiologica dei bambini (soprattutto dislessici) che sarebbe all’origine dei disturbi e del successivo disadattamento scolastico; un’altra parte, di ricercatori di indirizzo psicoanalitico, mettono in evidenza le correlazioni tra i disturbi di apprendimento e le fantasie, i vissuti e le esperienze della prima infanzia di questi bambini. Ha concluso il suo intervento mostrando attraverso un video i progressi di un bambino dislessico in psicoterapia psicoanalitica.

Il dibattito della mattina oltre a colleghe e colleghi psicoterapeuti dell’infanzia ha visto anche gli interventi di alcune insegnanti, le quali hanno evidenziato la difficile gestione dei bambini con diagnosi DSA in classe anche in virtù dei provvedimenti dispensativi e compensativi ed il rischio di esclusione o di marginalizzazione che ne deriva. Gli insegnanti hanno anche lamentato la mancanza di interlocutori istituzionali con cui avere un confronto.

Il Dr. Massimo Nardi ha coordinato le relazioni del pomeriggio. Nella sua introduzione il Dr. Nardi ha richiamato la metafora del cigno nero utilizzata da Popper e richiamata la mattina dal Prof. Cossu per proporre un parallelismo con i bambini cigno nero che gli psicoterapeuti incontrano nel corso del loro lavoro. Il vertice psicoterapico riesce a mantenere un quadro d’insieme della persona all’interno del quale si colloca anche il disturbo di apprendimento. In psicoterapia si lavora anche sul dare un senso e un significato a questo o quel disturbo. I soggetti che sono coinvolti nelle diagnosi di DSA verosimilmente vivono drammaticamente questa loro diversità: i bambini si accorgono di essere considerati disabili e ne soffrono. Occorre inoltre che la psicoanalisi faccia autocritica sulle origini psicogene dei disturbi evolutivi così come si è fatto con l’autismo in quanto non c’è solo una origine psicogenetica ma anche biologica.

La Dr.ssa Elisabetta Greco ha sostenuto che nella individuazione dei disturbi di apprendimento “l’individuazione e la definizione di un qualche difetto di abilità è sicuramente utile a descrivere come mai il proprio studente o bambino non ‘funzioni’ come ci si aspetterebbe di fronte ai consoni compiti evolutivi, ma è anche (tale tipo di diagnosi) uno strumento incompleto, che si attiene alle caratteristiche di superficie del disturbo e non informa affatto della condizione che lo ha provocato, tantomeno indica le migliori strategie di intervento”. Ha poi aggiunto che la distinzione tra vari tipi di disturbi di apprendimento “è utile per motivi diagnostici e prognostici, ma nel mio pensiero mi raffiguro un continuum di condizioni fenotipiche in cui si possono manifestare i diversi disturbi di apprendimento, che vanno dalle alterazioni dello sviluppo più gravi a quelle più lievi o alle subcliniche, fino ad arrivare alle condizioni in cui alcune abilità si presentano invece potenziate”. Infine ha illustrato tre casi di bambini con diagnosi “descrittiva” di dislessia seguiti con psicoterapia psicoanalitica che sono migliorati sia come sviluppo dell’identità sia come attenuazione del sintomo dislessico.

Le relazioni delle Dottoresse del Gruppo di Studio Alfa (dott. sse Bussolotti Federica, Canalini Valentina e Lo Presti Valentina), psicoterapeute infantili del Centro Studi Martha Harris di Bologna, modello Tavistock, riguardavano situazioni cliniche di bambini con Disturbi Aspecifici dell'Apprendimento. Due situazioni, in particolare presentavano bambini con disturbi del linguaggio che – stante l’attuale sistema diagnostico istituzionale e la prevalenza, sul mercato, di interventi riabilitativi – avrebbero potuto in seconda elementare essere diagnosticati DSA. Le due psicoterapie hanno svolto una funzione preventiva poiché i bambini hanno acquisito, attraverso la psicoterapia, un linguaggio adeguato per la loro età, ma prima di tutto una intenzionalità comunicativa.  
Era interesse delle psicoterapeute mostrare che nei casi in cui il bambino si attarda nello sviluppo emotivo, affettivo e relazionale svelando un sé troppo primitivo, il ritardo del linguaggio e di apprendimento sono una possibile conseguenza. Il trattamento di elezione in questi casi è la psicoterapia psicoanalitica.

La Dr.ssa Maria Luisa Mondello ha presentato un lavoro dal titolo singolare: “Leggere e scrivere; disturbo da stress post traumatico da a, A, a, A”. La ricerca neurobiologica e la clinica psicoanalitica, sempre meglio integrate, spingono a considerare la crescita infantile come frutto di un complesso dispiegarsi e connettersi di componenti micro-macro-bio-genetico-psichico-relazionali. Siamo corpo che è mente, naturalmente culturali, genetica che dialoga con l’ambiente. I bambini imparano a parlare all’interno di una finestra temporale che va dai 18 mesi ai tre anni mentre imparano a leggere e scrivere all’interno di una finestra temporale che va dai 4 anni ai 7 anni. Indipendentemente dalle aspettative degli adulti e dai programmi scolastici, è indifferente se un bambino rispetta i tempi o si attarda all’interno della finestra sopra descritta. Perché questo apprendimento avvenga non è necessario un insegnamento sistematico: il bambino impara se può esprimere il suo desiderio di fare come i grandi ed orientarsi nel mondo. Ogni bambino ha i suoi tempi. Da questo punto di vista le forzature che possono calare sul bambino dal mondo della scuola o dalla famiglia costituiscono un ulteriore appesantimento che peggiora la situazione.
Il linguaggio compare nel libero gioco acquisitivo frutto di una naturale propensione del piccolo, accompagnato da inviti affettuosi di nonni, zii e genitori a dire di volta in volta: mamma o papà o altro, ma senza insistenze prestazionali, senza insegnamento metodico.
Le 20 parole allo scoccare dei 2 anni sono un criterio puramente statistico: la mancata acquisizione dovrebbe incuriosire ad interessarsi dello sviluppo globale del bambino e non sfociare meccanicamente in una logopedia. La scuola materna ha assunto però negli anni sempre più le caratteristiche di un percorso pre-scolastico piuttosto che porsi nella continuità dell’attenzione “materna” alla crescita. Non ci sono voti o promozioni alla scuola materna, ma è costante l’essere invitati, e in un ovvio confronto, a “funzionare” come gli altri. Non è sillabare a un bambino le parole o spingerlo a scrivere negli spazi, che “insegna” a un bambino a parlare; occorre che il bambino colga nel parlare o nello scrivere il modo per soddisfare i propri desideri nel rapporto con quegli adulti che si occupano di lui. In questo senso l’adulto deve proporsi come modello che attribuisce valore ai discorsi. Non c’è aspetto della vita mentale e della crescita che non si nutra della sostanziale relazione con l’altro. Apprendere è implicito ed esplicito. Tutto quello che i bambini apprendono e realizzano nella prima infanzia non sembra avere necessità di essere prima pensato e poi amministrato in dosi piccole e rese concatenabili dall’adulto. I bambini non hanno bisogno delle istruzioni per l’uso. La lettura e la scrittura, come il linguaggio, sono nella disponibilità del bambino a patto che li incontri con piacere, interesse, desiderio, potendo fare, soprattutto fare, fare. Con le proprie mani e non schematizzati dalle pratiche scolastiche. Gli esercizi propedeutici proposti a scuola pretenderebbero come nell’addestramento militare che tutti marcino con lo stesso ritmo e cadenza. Ma non tutti i bambini sono uguali ed hanno gli stessi tempi di sviluppo. Ho coniato pensando ai bambini che hanno tempi diversi, parafrasando il DSM, la voce “sindrome da stress post traumatico da “a, A, a, A”. Essere esposti prima di aver maturato la propria esperienza appassionata nel mondo delle parole, del leggere e dello scrivere, è come mettere in piedi un bambino che non è pronto a camminare e provare ad insegnarglielo.
Sarà interessante – ma ancora così non è – poter apprezzare sul piano della ricerca neurobiologica un restringimento del campo dei disturbi specifici di apprendimento rispetto all’attuale dilagare diagnostico. Ciò sarà forse possibile dopo aver distinto i disturbi di apprendimento legati al fitto dialogo tra la relazionalità interumana e le spinte corporee. In questo modo sarà forse possibile restringere il campo dei DSA a condizioni primarie di disfunzionalità cerebrale da accogliere ed a volte vicariare.

                                                                                  Dott.ssa Michela Salerni


Loreto, 30/4/2016

martedì 29 marzo 2016

I nostri relatori: Elisabetta Greco

Nata a Roma e laureatasi in Medicina nell’anno 1991, Elisabetta Greco si è specializzata in Psichiatria nel 1996. Fa parte della Società Psicoanalitica Italiana come Membro Associato dal 2005 e vi si è perfezionata nell’ambito dell’infanzia e dell’adolescenza nel 2011.
Appartenente al Centro di Psicoanalisi Romano, nel quale attualmente riveste nel direttivo la funzione di Tesoriere, risiede a Roma, dove esercita la psicoanalisi dell’età adulta e dell’età evolutiva come libera professionista.

lunedì 28 marzo 2016

I nostri relatori: Massimo Nardi

Massimo Nardi consegue nel 1992 la laurea in psicologia indirizzo applicativo presso l'Università degli studi di Roma ‘La Sapienza’; consegue quindi l'abilitazione all'esercizio della professione e, nel 2005, il diploma di Specializzazione conseguito presso AIPPI (Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile  di cui è attualmente  membro Ordinario). Membro della Società Psicoanalitica Italiana, ha  lavorato presso la comunità terapeutica Reveriè che ospita pazienti psichiatrici inviati dal SSN prima come ‘operatore’ e come psicoterapeuta individuale.
Già Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Roma lavora oggi esclusivamente quale psicoanalista privato.

Pubblicazioni scientifiche Massimo Nardi

a) rivista: Autonomie locali e servizi sociali n. 3, 12-’93, ‘L’inserimento dello Psicologo in Ospedale: L’esperienza di una Unità Psicologica di Crisi’.
           
b) rivista: Difesa Sociale n. 4, 1994, ‘Attività dell’Unità Psicologica di Crisi nel Dipartimento di Medicina d’Urgenza’.

c) rivista: Prospettive Psicoanalitiche nel Lavoro Istituzionale vol. 15 n.3 sett-dic. 1997,  Andavo a tutta velocità con la vespa.... Caratteristiche psicologiche dell’incidente in adolescenza”

d) “L’abbinamento di minori adottabili a coppie disponibili all’adozione   nel                    tribunale per i Minorenni di Roma” in “Minori Famiglie Tribunale” a cura di R. Ianniello e L. Mari ed. Giuffrè  2007

e) “Radicare l’adolescenza: origini dell’identità e culture di provenienza” in  La voce del corpo’, a cura di Bria, Busato, Rinaldi, ed Francoanageli, 2009
    
f) “genitori e figli adolescenti di fronte al proprio corpo in traformazione  in  la voce del corpo, a cura di Bria, Busato, Rinaldi, ed Francoangeli, 2009

Relazioni a Convegni:

XVII Convegno della Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile (SINPI) (Assisi 15-18/4/1998). Titolo della relazione: “Il tema della vergogna nel lavoro clinico con gli adolescenti”. atti vol. III;

II Convegno Internazionale dell’Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile AIPPI (Roma 26-28 ottobre 2001). Titolo della relazione: “Il centro clinico Aippi,: luogo di esplorazione della mente dei genitori di figli preadolescenti
   
V Convegno nazionale Associazione Romana Psicoterapia dell’adolescenza, ARPAD  (Firenze 18-19 ottobre 2002). Titolo della relazione: “Genitori e figli adolescenti di fronte al proprio corpo in trasformazione;

VI convegno nazionale Associazione Romana Psicoterapia dell’adolescenza, ARPAD (S.Margherita   Ligure 22-23ottobre 2005). Titolo della relazione:  “Radicare ‘adolescenza, origini dell’identità e culture di provenienza”

III Convegno nazionale dell’Associazione Italiana Psicoterapia Psicoanalitica Infantile, AIPPI (Roma 18-19 ottobre 2006). Titolo della relazione: “Quando il terapeuta raggiunge il sogno del paziente”

Convegno dell’Associazione Italiana di Psicoterapia  psicoanalitica sull’Adozione  infantile, AIPPI (Roma 17 maggio 2008). Titolo della relazione: “Adozione, un lavoro ai margini”

Convegno dell’ Associazione Italiana di Psicoterapia psicoanalitica      infantile, AIPPI  (Roma 17 ottobre 2009). Titolo della relazione: ‘Sognare il corpo?’

Convegno del Centro di Psicoanalisi Romano ‘The Good Life: Benessere, altruismo, egoismo, e immortalità’ (28 giugno 2014 Roma). Presentazione di una relazione clinica senza titolo

Giornata di studio e formazione congiunta UOC Tutela salute Mentale Riabilitazione Età Evolutiva e Disabili adulti e AIPPI. (1’ ottobre 20014, roma) Relazione dal titolo: “Aspetti specifici della consultazione psicoanalitica con i genitori. Introduzione al tema” 

III Convegno nazionale della Società Psicoanalitica Italiana, SPI, sul lavoro analitico con i bambini gli adolescenti e i genitori. (27-28 novembre 2015 Caserta). Relazione dal titolo: ‘Provare a respirare dove non c’è più ossigeno. Psicoanalisi e autismo’. 

venerdì 25 marzo 2016

ULTIME NOTIZIE

NUOVO ARROGANTE ESEMPIO DI ABUSO DI POTERE DA PARTE DI DIRIGENTI ASL DI FEDE COGNITIVISTA DELLA REGIONE CAMPANIA: LA PSICOTERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE ELETTA IN MODO AUTOREFERENZIALE QUALE MODALITA’ DI INTERVENTO SCIENTIFICA DI ELEZIONE PER GLI INTERVENTI TERAPEUTICI IN ETA’ EVOLUTIVA.
L’ASL NA 2 Nord (Delib. n° 676 del 22/12/2015) ha istituito un Centro Unico Aziendale per la salute mentale in età evolutiva incaricato di svolgere molte e delicate funzioni (prevenzione, diagnosi clinica e funzionale, interventi in casi emergenza e urgenza, collaborazione con l’Autorità Giudiziaria minorile, ecc.). Successivamente l’ASL ha indetto (Delib. n°193 del 25/02/2016; Delib.n° 228 del 03/03/2016) una Selezione Pubblica per titoli e colloquio per il conferimento di incarichi – Vari profili Decreto n° 105/2014 linea progettuale 15.
Nello stesso periodo (24/02/2016, Prot.n.557 B15), la Scuola Secondaria di 1° Grado “Ettore Iaccarino” di Ercolano (NA) ha indetto un Avviso di Gara per la nomina di n. 1 psicoterapeuta per l’integrazione degli alunni disabili di scuola secondaria di primo grado per il corrente anno scolastico.
Purtroppo, in entrambi i casi  è stato compiuto un grave errore  destinato a ledere le legittime aspettative occupazionali di numerosi psicologi-psicoterapeuti.
Sia nel caso dell’ASL che in quello della Scuola, infatti, nel bando è stato contemplato quale titolo di accesso ai posti di psicologo-psicoterapeuta il possesso della specializzazione in psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Ciò entra in collisione con la legge ordinistica (n.56/’89), che non discrimina fra i professionisti abilitati all’esercizio della professione riconoscendo a tutti pari dignità; inoltre, da un punto di vista scientifico, non è sostenibile la scelta effettuata di un unico approccio teorico quale prevalente su altri; infine, per quanto riguarda l’utenza viene leso il suo diritto di scelta (in caso di più posti messi a bando), uno dei diritti fondamentali dell’assistenza.

Il Centro Napoletano di Psicoanalisi, unitamente a tutte le Società o Associazioni ad orientamento psicodinamico presenti in Campania (AIPPI, SIPP, AIPA, ARPAD, SIPSIA) sottoscriveranno un documento di protesta che sarà consegnato all’Ordine degli Psicologi della Regione Campania e, per conoscenza, all’Ordine degli Psicologi nazionale. Si tratta infatti di un abuso di potere che viola palesemente le Leggi dello Stato Italiano.

Ferdinando Benedetti